Ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi di Napoli


Sede: Napoli
Date di esistenza: 1871 - 1983
Condizione giuridica: pubblico

Altre denominazioni
Manicomio di Capodichino 1909-1927

Nel Regno di Napoli l'unica struttura che da sempre aveva accolto i malati di mente era stata l'ospedale degli Incurabili, fondato intorno al 1519 e che prevedeva anche uno spazio riservato alla cosiddetta «pazzeria». Solo nel 1813 Gioacchino Murat emanava il decreto istitutivo della fondazione di uno stabilimento ad Aversa «deputato esclusivamente al ricovero dei malati di mente».
Negli anni immediatamente successivi alla seconda Restaurazione borbonica, nel 1815, si cominciò a progettare un nuovo manicomio per la città di Palermo, che sarà aperto solo nel 1824. La nuova «Casa» decongestionò in parte la struttura aversana, raccogliendo i matti dei domini reali al di là del Faro.
Solo tra il 1871 e il 1901, le province di Napoli, L'Aquila, Avellino, Bari, Campobasso, Catanzaro, Cosenza, Foggia, Lecce, Reggio Calabria, Salerno e Teramo si distaccheranno da Aversa creando propri nosocomi, mentre le province di Campobasso, Cosenza, Avellino, Bari, Foggia e Salerno sposteranno i loro ammalati a Nocera Inferiore.
Nel 1871, dunque, la Provincia di Napoli decideva di ritirare i suoi ammalati per collocarli alla Madonna dell'Arco nel limitrofo comune di S. Anastasia. Per impiantare il nuovo servizio la Deputazione provinciale aveva provveduto a stipulare una convenzione con il Real Albergo dei Poveri di Napoli, appaltando una serie di servizi tra cui la vittitazione e la fornitura di generi di casermaggio. In un'altra struttura, presso Capodichino, fu allestita la sezione Osservazione, ossia un reparto dove venivano ricoverati coloro che erano trattenuti dalle forze dell'ordine, per accertare il grado e la natura della follia. Giuseppe Buonuomo venne nominato alla direzione del manicomio.
La sede prescelta, tuttavia, si rivelò immediatamente poco idonea, tanto che la Deputazione provinciale di Napoli, nel 1874 deliberava l'acquisto del fabbricato di S. Francesco di Sales e del giardino adiacente, nel cuore della città, lungo la strada dell'Infrascata, oggi via Salvator Rosa. Il manicomio entrò in funzione nell'agosto del 1881. Inizialmente vi fu trasferita una prima sezione del comparto uomini: i folli «tranquilli», i non «recidivi» e i non paralitici; nel 1883 venne in esso trasferito tutto il reparto uomini. Sei anni dopo tutti i maschi cronici furono spediti all'Arco mentre al Sales vennero portate tutte le donne folli curabili. Le due sezioni del manicomio, in tal modo, assunsero funzioni distinte: l'Arco ospitava i folli maschi e le femmine curabili, il Sales, invece, i folli cronici d'ambo i sessi.
Nel 1890, Leonardo Bianchi, fu nominato direttore della struttura.
Un importante contributo conoscitivo alla storia del manicomio ci viene da alcune inchieste effettuate sull'amministrazione provinciale, che, ovviamente, interessarono anche gli istituti che erano di sua diretta emanazione. Nelle relazioni, oltre a pesanti giudizi su tutta l'attività amministrativa della Provincia, veniva effettuata una approfondita analisi affatto lusinghiera anche per quello che riguardava la gestione complessiva dei manicomi.
Inizialmente, come si è visto, il problema della Provincia era quello di trovare un ricovero per i mentecatti poveri ritirati dal manicomio di Aversa. Per un certo periodo le sedi furono cinque: S. Maria dell'Arco in S. Anastasia, di proprietà dell'Albergo dei Poveri, S. Francesco di Sales, acquistato e ristrutturato, il regio ospizio SS. Pietro e Gennaro extra moenia a Capodimonte, il manicomio privato Leboffe nel limitrofo comune di Ponticelli e S. Francesco Saverio alle Croci, detto dei Miracolilli, di proprietà degli Istituti Riuniti di educazione professionale femminile .
Tra il 1883 e l'inizio del 1884 si fece pressante l'idea di dotare la città di Napoli di un manicomio modello a padiglioni staccati. Le pratiche per l'acquisto e l'occupazione dei terreni a Capodichino furono definite nel marzo 1897, ma l'occupazione del manicomio cominciò solo nel 1909 e si completò un anno dopo, quando il numero dei folli era salito a 1128. Nel 1927 l'amministrazione provinciale deliberò di intitolare la struttura a Leonardo Bianchi. Nel 1930, durante la direzione Sciuti, erano ricoverati 1609 infermi, 939 uomini e 670 donne. In questi anni ai 29 padiglioni iniziali ne furono aggiunti altri quattro da adibire alle lavorazioni. Inoltre, l'amministrazione provinciale aveva deliberato l'esproprio dei terreni intorno all'ospedale preventivando una futura espansione dell'istituto attraverso la costruzione di altri padiglioni e per assicurare una forma di isolamento rispetto alle strutture abitative della città. In soli venti anni il nuovo manicomio si era dotato di una biblioteca scientifica, che ammontava a circa 8000 volumi, 2000 opuscoli, oltre ai periodici scientifici, di una biblioteca per i folli, di una tipografia e di una legatoria dove lavoravano anche i ricoverati; erano stati impiantati gabinetti per le ricerche di bromatologia, chimica clinica, anatomia patologica e sierologica. La direzione di Michele Sciuti, oltre ad apportare miglioramenti alla struttura edilizia, fu caratterizzata da un impegno costante di carattere terapeutico. I folli lavoravano nella calzoleria, in un laboratorio per lo sparto e la saggina, nella tipografia e legatoria, in un fabbrica di mattonelle, nella falegnameria, in un officina meccanica, nella sartoria e tessitoria, nella panetteria e, infine, nella colonia agricola. Erano seguiti e guidati nel lavoro da un tecnico ed erano retribuiti secondo parametri specifici sia con denaro che con tabacco.
Il primo problema fu sempre però l'affollamento dei pazienti. Il mancato impegno della Provincia in questo senso determinò gravi disagi ai pazienti con inevitabili ricadute sulla funzionalità dei servizi e seri problemi di gestione del personale. Con deliberazione provinciale, dunque, del 31 luglio 1922 venne approvata la convenzione con i manicomi di Nocera, disponibile ad accogliere un numero di folli da 90 a 110, e Aversa, disponibile ad accoglierne da 100 a 130.
Furono proprio queste circostanze a far sì che si desse corso all'ampliamento di alcuni padiglioni, entrati in funzione all'inizio degli anni Trenta. A partire dal maggio 1937, la Prefettura comunicò la necessità espressa dal Ministero della Guerra di sfollare dalle città capoluogo di provincia i ricoverati dagli ospedali, dai manicomi e dalle colonie infantili permanenti ai fini della protezione antiaerea in caso di guerra. Venne preparato un progetto dettagliato di sfollamento, con il trasferimento di numerosi pazienti in altre strutture psichiatriche e di reperimento e ristrutturazione di altri edifici nei dintorni di Napoli. Complessivamente tra 1937 e 1943 furono trasferiti 717 uomini e 766 donne.
Lo scoppio della guerra, tuttavia, determinò un periodo estremamente duro e difficile, poiché la riduzione di personale sanitario e di assistenza chiamato alle armi, la riduzione di generi alimentari e di medicinali determinò notevoli difficoltà terapeutiche e gravissimi disagi ai degenti ricoverati. La struttura ebbe a soffrire delle frequentissime incursioni aeree nemiche. Particolarmente grave fu il bombardamento del 30 maggio 1943. L'8 ottobre 1943 le truppe angloamericane penetravano nell'ospedale occupando il padiglione Principe di Piemonte, lo spiazzo antistante la struttura, i viali e i terreni destinati alla coltivazione. La presenza degli alleati nella struttura è ancora segnalata l'11 settembre 1946.
Negli anni Cinquanta la documentazione lascia intravedere una situazione di sostanziale tranquillità, con l'entrata in funzione di un ulteriore padiglione - la IX sezione uomini - e un consolidato ripristino della funzionalità medico-sanitaria.
Le dimensioni assunte dall'ospedale in quel periodo, erano quelle che tuttora conserva. Il manicomio, difatti, si estende sulla collina di Capodichino a nord-est della città, ad 85 metri sul livello del mare, su un'area di 220.000 metri quadri ricchissima di spazi verdi. In essa erano distribuiti 33 edifici riuniti insieme da ampi passaggi coperti di dimensioni e di epoche diverse, che coprono una superficie di 78.000 mq.
A partire dagli anni Cinquanta le situazioni di eccessivo sovraffollamento si poterono evitare grazie alla presenza di quattro cliniche psichiatriche private, al sorgere in città di altri istituti psichiatrici pubblici, quali le cliniche neuropsichiatriche del reparto neurologico dell'ospedale Cardarelli, del reparto neuropsichiatrico dell'ospedale S. Gennaro e del reparto neurochirurgico dell'ospedale Loreto Nuovo.
Alla sistemazione raggiunta dal Bianchi si accompagnò anche la dotazione di attrezzature scientifiche moderne (in particolare per il reparto operatorio e gabinetto di terapia fisica, il laboratorio micrografico e chimico, i laboratori di antropologia, psicologia, elettroencefalografia, elettroshockterapia). Erano presenti sezioni di osservazione e di cure attive per acuti cronici, sezioni geriatriche, infermerie per malattie acute ed infettive, reparti di isolamento per contagiosi; reparti di ergoterapie, ludoterapie e terapia di ambiente. Un importante servizio convenzionato, stipulato dall'amministrazione provinciale, fu quello riservato all'assistenza psichiatrica per i minorenni, iniziato nel 1926. Altra convenzione veniva stipulata nel 1937 con l'istituto Vertecoeli, per il ricovero dei ragazzi che in passato erano ricoverati presso l'ospedale psichiatrico.
Il manicomio tra alterne vicende ha continuato la sua funzione fino alla legge 180. A partire dall'approvazione della legge regionale n. 1/1983 è iniziata la difficile e complessa operazione delle dismissioni dell'ente.



ultimo aggiornamento
24 marzo 2013