Ospedale neuropsichiatrico provinciale Santa Margherita di Perugia


Sede: Perugia
Date di esistenza: 1824 - 1980
Condizione giuridica: pubblico

Altre denominazioni
Riuniti ospedali di Santa Maria della Misericordia e di Santa Margherita dal 1824
Spedale de' pazzi in Santa Margherita dal 1824
Manicomio di Santa Margherita dal 1824
Manicomio provinciale di Perugia 1901 - 1924
Ospedale psichiatrico provinciale di Perugia 1924 - 1927
Ospedale psichiatrico interprovinciale dell'Umbria 1927 - 1949

A Perugia, solo dai primi dell'Ottocento si affermò l'obbligo di ricoverare i malati di mente presso l'Ospedale di Santa Maria della Misericordia, in un edificio, situato in contrada Fontenuovo, dove trovavano ricovero anche i tisici. A partire dal 1805, dopo l'ispezione effettuata in qualità di delegato apostolico, il cardinale Agostino Rivarola, constatate le inumane condizioni in cui versavano i malati, ne propose una migliore sistemazione da realizzarsi sopprimendo il Monastero delle Benedettine di Santa Margherita ed accorpando tale struttura all'Ospedale di Santa Maria della Misericordia. Soltanto nel 1815, con rescritto del 20 marzo, la sua proposta venne accolta da papa Pio VII; l'accorpamento fu poi sancito, con atto del notaio Domenico Tassi, il 2 dicembre 1815.
L'apertura del nuovo ospedale, a cui fu dato lo stesso titolo del soppresso monastero, avvenne molto più tardi, il 17 settembre del 1824; primo direttore ne fu il prof. Alfredo Bellisari, che aveva curato anche i lavori di riadattamento dell'edificio.
Regolamenti provvisori furono redatti il 25 febbraio 1825, che stabilivano, quale scopo dell'istituto, l'accoglienza e la cura degli infermi di mente, dei tisici e dei proietti lattanti, la cui ammissione e dimissione era prerogativa dei "Superiori Primari" dell'Ospedale cittadino, cioè il soprintendente generale e il prior clerico. Il principale responsabile all'interno dello stabilimento era il vice-rettore, il quale doveva inviare ai superiori, ogni quindici giorni, un rapporto sull'andamento dell'istituto.
È del 1830 un ulteriore regolamento, nel quale, come già nel precedente, si sottolinea l'importanza di un trattamento umano e caritativo dei malati e si precisano i compiti di tutto il personale impiegato. L'ammissione e la dimissione dei malati di mente, di cui sottoscrivevano un biglietto da conservarsi in archivio, era autorizzata dai "Signori Superiori".
Il successivo regolamento, approvato a Roma il 5 agosto 1839, si componeva di due parti, una "governativa", relativa al personale, l'altra "curativa". Nella prima si stabiliva che lo stabilimento di Santa Margherita era sottoposto al controllo del soprintendente generale dell'Ospedale di Santa Maria della Misericordia, da cui dipendeva amministrativamente. Rispetto al passato risultano aumentati i compiti dell'ispettore economico che si sostituisce al vice-rettore. Tra le mansioni del chirurgo astante è prevista anche la compilazione dei registri degli alienati e la tenuta del movimento giornaliero dei medesimi, oltre a quello degli esposti. Importante organo direttivo risulta essere la congregazione economica, composta dal soprintendente generale, dal rettore clerico, dal gonfaloniere e da due consiglieri, incaricata di discutere di tutto ciò che concerne l'andamento del manicomio. Nella parte denominata "curativa", si specifica che sono "ammessi nel manicomio di Perugia i pazzi di ogni nazione o paese, di ogni sesso, età, condizione", affetti da qualsiasi tipo di pazzia, "ad eccezione però di quelli spettanti al genere e specie di pazzia, contraddistinta dal nome di demenza tranquilla inveterata e d'idiotismo congenito od acquisito", nel qual caso si consiglia il ricovero in ospizio; si illustrano, inoltre, le modalità di ammissione e dimissione e quelle di cura, sottolineando l'obbligo da parte del medico-direttore di redigere dei rapporti triennali corredati di tavole statistiche.
Con decreto dell'11 aprile 1850 monsignor Girolamo D'Andrea, commissario straordinario per l'Umbria e la Sabina, approvò un nuovo regolamento che, ribadita l'amministrazione unica dei due ospedali cittadini, lascia in vigore quello del 1839, per la parte relativa alla direzione interna del manicomio e al ricevimento e cura dei malati. L'"officio centrale" dell'unica amministrazione risulta ubicato nella "Casa dello Spedale di S. Maria della Misericordia" dalla quale si dipartono "le diverse diramazioni relative alla cura degli Infermi, e de' Pazzi, al ricevimento e custodia dei Proietti" e a quant'altro era di pertinenza dei due istituti.
Nel 1862, avvenuta l'annessione dell'Umbria al Regno d'Italia, a seguito dell'applicazione della legge sulle opere pie, il manicomio e l'ospedale passarono sotto l'amministrazione della Congregazione di carità di Perugia, la quale redasse un regolamento, approvato dalla Deputazione provinciale dell'Umbria il 19 settembre 1873, che affermava tale dipendenza. In virtù di esso, era prerogativa della Congregazione di carità nominare tutti gli impiegati, ad eccezione dei "servienti", ed esercitare l'alta vigilanza sull'istituto; l'ammissione e la dimissione degli alienati spettava al suo presidente, dietro parere del medico direttore, investito della responsabilità della cura fisica e morale, dell'assistenza dei malati e della sorveglianza dell'istituto. Con delibera della Congregazione di carità del 22 dicembre 1874, la gestione finanziaria del manicomio fu distinta da quella dell'Ospedale di Santa Maria della Misericordia, anche se, in realtà, le due contabilità, a fine anno, continuarono ad essere riepilogate insieme.
Nel 1875, per dare una prima risposta al problema della cronicità e incurabilità di alcuni malati di mente, furono istituiti reparti per dementi tranquilli annessi ai ricoveri di mendicità di Foligno e Rieti, per gli uomini, e Spoleto, per le donne, dove potevano essere ricoverate circa trecento unità. Nel regolamento di questi ricoveri, approvato dalla Deputazione provinciale nell'adunanza del 7 febbraio 1907 e dalla Commissione provinciale di assistenza e di beneficenza pubblica dell'Umbria in seduta dell'11 maggio 1907, all'art. 1 vengono definiti "istituzioni pubbliche di beneficenza, dipendenti dall'Amministrazione provinciale dell'Umbria ai sensi dell'art. 1, lett. a della legge 17 luglio 1890, n. 6972"; l'art. 3 stabiliva che ciascuno si componeva di due sezioni, una per i mendici, l'altra per i dementi tranquilli ed innocui che, per disposizione del direttore del manicomio provinciale, vi erano trasferiti dallo stabilimento di Santa Margherita a Perugia o da altri manicomi del Regno, e per i quali, in base al domicilio di soccorso, la "spesa di spedalità" era a carico della Provincia dell'Umbria.
Sin dalla fondazione del manicomio, del resto, il notevole aumento dei ricoverati aveva reso necessario reperire nuovi spazi e, fino al 1900, si era provveduto ampliando gli edifici esistenti e acquistando vecchi fabbricati sparsi nel territorio circostante, secondo criteri di stretta economia e senza tenere conto della funzionalità dei medesimi. Tra le strutture che, nel corso del tempo, si erano aggiunte alla "casa centrale", vanno ricordate: la "colonia agricola" per ricoverati agricoltori, nata nel 1846 ed ampliata successivamente; la "casa succursale" per i ricoverati epilettici e cronici relativamente tranquilli; la villa del Barone della Penna con l'attigua palazzina (poi denominata villa Massari), acquistata nel 1885 e destinata a 24 rettanti donne, ampliata nel 1898; il padiglione industriale e per convalescenti (il futuro padiglione Adriani), costruito tra il 1888 e il 1890, corredato di laboratori artigianali; la "colonia industriale" femminile, istituita tra il 1891 e il 1894 con l'acquisto del convento dei Cappuccini (poi padiglione Bonucci); l'edificio del Favarone per dementi croniche tranquille, comprato negli stessi anni dal Collegio della Sapienza. Fu così che, alla fine dell'Ottocento, si era formata una struttura a due villaggi, lontani oltre un chilometro l'uno dall'altro, l'uno in zona Santa Margherita e l'altro in zona Monteluce e costituiti da otto fabbricati.
Tale situazione determinò una gestione talmente onerosa da spingere la Congregazione di carità ad accettare la proposta di acquisto del manicomio, avanzata dal presidente della Deputazione provinciale, conte Rodolfo Pucci Boncampi, per L. 900.000: la vendita avvenne il 1° gennaio 1901 e fu ratificata il 21 gennaio.
Con delibera del Consiglio provinciale del 15 dicembre 1901, fu così approvato un nuovo statuto, nel quale si stabiliva che il manicomio provinciale, questa era la nuova denominazione, era un istituto "destinato principalmente al ricovero e alla cura dei dementi poveri", di cui la Provincia aveva per legge l'onere del mantenimento, e "secondariamente al ricovero e alla cura dei dementi non poveri verso il correspettivo di una retta". Sancito che il bilancio del manicomio costituiva parte del bilancio provinciale, si stabiliva altresì che la gestione amministrativa era affidata alla Deputazione, tramite un suo delegato, e quella sanitaria ad un direttore. Lo statuto fissava anche le modalità di gestione delle aziende speciali del manicomio, cioè le officine, l'agenzia rurale, il mulino, il panificio e il pastificio. Nella medesima adunanza consiliare furono tracciate le linee del riordinamento edilizio del manicomio, fondato sulla separazione della sezione maschile da quella femminile, ciascuna con 400 posti letto. Il progetto, la cui redazione fu affidata all'ing. Pasta, capo dell'ufficio tecnico dell'amministrazione provinciale di Perugia e il cui costo fu stimato approssimativa in 2 milioni, seguiva la concezione del "manicomio a villaggio" e doveva essere realizzato nello spazio di 4 o 5 anni. Fu in base a tale progetto, che trovò solo parziale attuazione, che vennero costruiti, tra il 1902 e il 1904, i padiglioni Santi, Zurli e Neri, i cui edifici sono tuttora esistenti. Altri padiglioni vennero realizzati negli anni antecedenti la prima guerra mondiale, tra i quali il Bellisari che, ultimato nel 1915 e inaugurato come reparto neuropsichiatrico dipendente dall'Ospedale militare di Perugia, solo alla fine della guerra fu occupato dai ricoverati del manicomio. Ultimo edificio realizzato fu il padiglione Agostini, costruito nel 1924. Intorno al 1909, tenendo conto dei minori costi di gestione dei ricoveri di mendicità rispetto a quelli del manicomio e nell'intento di incrementare lo sfollamento dello stesso, vennero costruiti nuovi padiglioni nelle sezioni distaccate di Foligno e di Rieti, per i cronici uomini, in quella di Spoleto, per le donne, attigui ai rispettivi ricoveri di mendicità. Venne anche aperta una sezione distaccata a Città di Castello, annessa al pellagrosa rio e denominata "Pellagrosario umbro e sezione dementi di Città di Castello": va rilevato che i documenti più antichi ad essa relativi risalgono al 1904, anche se la bibliografia in materia ne sposta l'apertura a dopo il 1905 o il 1909.
Nel 1904 lo Stato italiano emanò una legge "sui manicomi e sugli alienati" cui fecero seguito due regolamenti attuativi nel 1905 e nel 1909. In essi si specificava che, per i manicomi mantenuti dalle province, l'amministrazione dei medesimi era affidata al Consiglio provinciale, che la esercitava per mezzo della Deputazione. Fu questa la normativa che rimase in vigore fino al 1978.
Conformemente a quanto da essa disposto, per il Manicomio provinciale Santa Margherita e per le sezioni "istituite in altre città della Provincia" fu redatto un nuovo regolamento che, approvato dalla Commissione reale con deliberazione del 3 gennaio 1923, entrò in vigore il 1° gennaio 1924. Tali sezioni erano considerate "reparti del manicomio Centrale destinate a ricoverate i dementi cronici e tranquilli" che, a norma della legge del 1904, si trovavano sotto l'immediata dipendenza del direttore del manicomio dal punto di vista tecnico e disciplinare; ai loro servizi amministrativi e generali si provvedeva, invece, attraverso il personale dei ricoveri di mendicità, cui le sezioni medesime erano annesse.
Nell'intera struttura manicomiale, il personale impiegatizio era costituito dai sanitari (medico-direttore, medici di sezione e medici aiuti), dall'economo e dall'ispettore, mentre alla classe dei subalterni apparteneva "il restante personale di sorveglianza ed assistenza e tutti gli addetti agli svariati servizi", tra cui ispettori, capo infermieri ed infermieri, e personale addetto ai servizi generali. Precipui compiti del medico direttore erano la sovrintendenza generale scientifica e tecnica e la piena autorità sul servizio interno sanitario, l'alta sorveglianza su quello economico, per ciò che riguardava l'igiene, la sicurezza e il trattamento dei malati, la vigilanza disciplinare su tutto il personale; egli era inoltre responsabile dell'andamento dell'istituto e dell'esecuzione delle leggi e dei regolamenti. Sotto la sua sorveglianza i medici di sezione attendevano alla cura dei reparti loro assegnati, ed avevano la responsabilità del servizio tecnico e disciplinare. Questi, inoltre, redigevano "le tabelle nosografiche e cliniche, tenendole sempre al corrente, prendendo nota non solo del decorso della malattia mentale di ciascun ricoverato, ma ancora delle eventuali malattie intercorrenti, della terapia e delle consegne date al personale relativamente alla sorveglianza ed alla custodia dei medesimi; era sempre loro compito curare la regolare tenuta dei registri sanitari e dell'ufficio di segreteria.
Con il distacco del circondario di Rieti dall'Umbria, avvenuto nel 1923, la sezione di Rieti cessò di fare parte del Manicomio provinciale di Perugia che, nel 1924 assunse la denominazione di Ospedale psichiatrico provinciale. Con la creazione, nel 1927, della sua provincia, Terni si unì con Perugia in un Consorzio interprovinciale per i servizi psichiatrici deputato alla gestione del manicomio, che divenne così Ospedale psichiatrico interprovinciale dell'Umbria. Tale Consorzio fu sciolto il 31 dicembre 1949, per ragioni economiche, ma soprattutto perché Terni era interessata a realizzare un proprio ospedale psichiatrico. Nel 1950 la gestione dell'ospedale psichiatrico passò così all'Amministrazione provinciale di Perugia.
Nel 1926, intanto, quando il prof. Cesare Agostini, direttore del manicomio, fu incaricato anche della direzione della Regia clinica delle malattie nervose e mentali dell'Università degli studi di Perugia, fu stipulata una convenzione, prima fra la Provincia e l'Università e poi fra questa e il Consorzio interprovinciale, per il funzionamento della clinica nei locali dell'ospedale psichiatrico, consentendo che, in un suo reparto, avvenisse lo studio degli infermi affetti da malattie nervose e mentali. All'art. 7 della convenzione si stabiliva che, qualora il titolare della cattedra di clinica neuropsichiatrica non fosse più stato anche il direttore dell'ospedale, l'Amministrazione provinciale avrebbe dovuto mettere a disposizione dell'Università un piccolo padiglione, con trenta letti, dietro corresponsione di un canone annuo e l'assunzione dell'onere della retta dei malati del sistema nervoso, ricoverati ai fini didattici. Tale situazione si verificò nel 1928, quando la direzione dell'ospedale fu assunta da Giulio Agostini, figlio di Cesare. In data 25 aprile 1931, venne così stipulato un accordo integrativo in base al quale la clinica neuropsichiatrica fu sistemata nei locali del padiglione Massari, ceduti in uso all'Università. La convenzione venne poi rinnovata, con decorrenza 1° gennaio 1940, con atto registrato il 20 febbraio 1941, tenuto anche conto che Giulio Agostini ricopriva la duplice carica di direttore dell'ospedale e di direttore incaricato della clinica. In base ad essa l'intero padiglione adibito a clinica presso villa Massari venne ripreso in consegna dall'amministrazione del Consorzio e la clinica rimase in possesso di due ambienti dell'edificio, destinati ad aula di insegnamento e a gabinetto del direttore. Nei medesimi locali venne istituito un reparto per i malati affetti da parkinsonismo encefalitico posto sotto la responsabilità del direttore della clinica, coadiuvato dagli assistenti universitari, dietro corresponsione di un compenso a carico dell'amministrazione consorziale. La convenzione, cessata il 31 dicembre 1949 con lo scioglimento del Consorzio interprovinciale, venne rinnovata, con decorrenza 1° gennaio 1950, con delibera della Deputazione provinciale del 6 settembre 1950: sarebbe durata fino a quando la stessa persona fosse rimasta alla direzione dell'ospedale e della clinica universitaria.
Con delibera del Consiglio provinciale del 2 giugno 1955, venne approvato il nuovo regolamento organico e regolamento interno dell'Ospedale neuropsichiatrico, costituito dall'istituto principale di Santa Margherita e dalle sezioni distaccate di Città di Castello, Spoleto e Foligno. Secondo l'art. 2, lo stabilimento principale di Perugia aveva carattere propriamente ospedaliero e ad esso era annesso il reparto neurologico "Villa Massari", che, creato nel 1938 nella villa acquistata al Barone della Penna sin dal 1885, era destinato ai malati nervosi a pagamento e sostituiva il reparto neurologico del Policlinico. Nel medesimo potevano altresì essere ricoverati, a seconda della disponibilità di posti, i malati mentali senza carattere di pericolosità, che non potevano essere curati in famiglia; tale reparto, a differenza del resto del manicomio, funzionava in base alle disposizioni vigenti per gli ospedali civili, stabilite dal regio decreto n. 1631 del 30 settembre 1938, era diretto dal direttore dell'ospedale psichiatrico con funzioni anche di primario ed era diviso in due sezioni, una maschile e l'altra femminile. Il compito di assistenza psichiatrica veniva integrato da dispensari d'igiene mentale funzionanti a Perugia, Foligno, Spoleto e Città di Castello. Il personale delle sezioni distaccate faceva parte a tutti gli effetti del complesso dell'ospedale neuropsichiatrico e poteva essere comandato o trasferito per esigenze di servizio.
In concomitanza con la nomina da parte del Consiglio provinciale, in data 21 giugno 1965, del prof. Francesco Sediari a direttore dell'ospedale neuropsichiatrico, venne abbandonato il progetto di ristrutturazione, auspicato da Giulio Agostini sin dal 1953 e finalizzato a sostituire alla struttura "a villaggio" quella "a monoblocco". In quell'epoca stava, infatti, prendendo avvio un movimento basato sul superamento della struttura manicomiale e la progressiva istituzione di una rete di servizi territoriali alternativi. Tale processo ebbe come prima tappa la costituzione, nel settembre del 1965, di un "reparto libero" per i pazienti che avevano volontariamente deciso di ricoverarsi e non presentavano caratteri di pericolosità, nel quale non si applicavano le limitazioni della libertà personale previste dalla legge del 1904; tale reparto cessò di funzionare il 30 aprile 1972.
Al fine di potenziare la qualità e la disponibilità dei servizi psichiatrici territoriali, nella provincia di Perugia furono aperti nel 1964 quattro dispensari di igiene mentale, intorno al 1965 un centro per il ricovero degli alcolisti e un servizio ambulatoriale di neuropsichiatria infantile, nel 1970 dieci centri di igiene mentale. Questo passaggio ad una assistenza dislocata sul territorio, culminò con l'emanazione della legge 13 maggio 1978, n. 180 sugli "accertamenti e trattamenti sanitari e obbligatori" e, successivamente, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 sull'"istituzione del Servizio sanitario nazionale", che modificarono in modo sostanziale le disposizioni della legge del 1904, stabilendo che gli interventi relativi alle malattie mentali fossero di norma attuati dai servizi e presidi territoriali extra ospedalieri e che i ricoveri fossero un'eccezione e limitati solo ai casi previsti dalla legge.
La riforma sanitaria del 1978 determinò, quindi, la cessazione della gestione diretta da parte della Provincia di Perugia dei servizi psichiatrici e, di conseguenza, anche dell'Ospedale neuropsichiatrico e dei CIM, le cui funzioni furono trasferite dal 1° giugno 1980 alle Unità sanitarie locali (USL). Contestualmente venivano chiuse anche le sezioni di Foligno e Spoleto, mentre quella di Città di Castello aveva cessato di operare sin dal 1976.

(tratto dall'inventario)



ultimo aggiornamento
1 marzo 2024